VIA
DELLA RAI
LA
MOLTA CHIACCHIERA DI PIERLUIGI CELLI
Il
direttore della Rai abitualmente non si fa pregare per parlare e sa tenere la
bocca aperta anche per ore con il tono di chi ha sempre ragione, eppure,
nonostante sia stato sollecitato più volte dal suo capo ufficio stampa Giuseppe
Nava, Pierluigi Celli, non ha saputo (o voluto) rispondere per quale motivo la
Rai non ha utilizzato se stessa, cioè le sue reti, per informare i cittadini
sul terremoto che dovrebbe condurre l'azienda verso la privatizzazione
(selvaggia?).
Celli,
come i Tatò e i Romiti non ci ha mai convinto in merito alla sua azione in
favore della democrazia informativa e di utilità nei confronti dell'azienda; è
più conosciuto come "tagliatore di teste" (posti di lavoro, bella
forza!) che interessato alle sorti della Rai che un rispettabile direttore
dovrebbe avere a cuore.
Cosa
ha fatto in direzione degli ascolti Auditel? Era motivato abbastanza (noi
pensiamo che non lo fosse affatto) come i dirigenti di Fininvest/Mediaset che
hanno piazzato loro uomini ai vertici della società privata di rilevazioni?
Bastava per esempio rivolgersi all'Autorità "Garante" di Napoli per
conoscere in base all'articolo 1 comma 11 della legge 249/97 l'identità dei
tecnici che prendono contatti con le famiglie dotate di "Meter"
verificandone l'attività e non lo ha fatto, in compenso, ha, in altri tempi
ormai lontani, ignorato la conquista tutta illegale da parte delle reti
nazionali private senza dar luogo neppure ad una trasmissione che affrontasse
l'argomento.
Celli,
apparentemente molto legato alla Rai, in effetti considera "finito" il
suo compito e aggiunge: "bisogna rendersi conto di quando il percorso
all'interno di una azienda è finito". Avete capito? Proprio ora che la Rai
rischia di essere spezzettata e data in dote a gruppi magari in lotta fra di
loro, ma omogenei sul piano degli affari, ritiene il suo compito finito,
abbandonando l'unica garanzia informativa che ancora opera con il bilancino
dando spazio a tutti con tolleranze in più o in meno accettabili. Un bel
direttore, uno splendido cittadino che pensando solo a sé stesso già pensa
dove si trapianterà. In attesa, per non perdere neppure un giorno di lavoro (e
di stipendio) ha annunciato: "Per il momento resto dove sono".
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L'INAMOVIBILE
RUBENS
Il
Conna - non ne abbiamo mai fatto mistero -
è uno strenuo difensore del mezzo pubblico in quanto istituzione, fatta
eccezione per buona parte dei suoi funzionari e per i tecnici che - ossequienti
nei confronti di Mediaset - spesso, con le "locali" assumono un
comportamento arrogante.
Della
serie "palle di piombo" ai piedi della Rai, è un tale Rubens
Esposito, avvocato, responsabile del settore legale da 25/30 anni, cioè
dall'epoca dei mutandoni alle gambe delle sedie, per non dire delle corazze in
cui erano imprigionate le ballerine.
Insieme
a Celli, è uno dei massimi responsabili dello stato pre-comatoso da svendita in
cui si trova l'Azienda dovuto alla sua mancata difesa. Nulla ancora oggi viene
deciso senza che Rubens Esposito non sappia e i suoi giudizi sono sempre il
prodotto di vedute ristrette, al punto tale, che ai festini organizzati in
occasione del ventennale di Publitalia e Canale 5 di cui ci occupiamo in prima
pagina, doveva anch'egli essere presente insieme a Veltroni, D'Alema e ad altri
cervelli fumanti.
Conoscemmo
a suo tempo mastro Rubens; gli raccomandammo di consigliare alla direzione tutta
una serie di trasmissioni informative dove si sarebbe dovuto spiegare agli
ascoltatori quanto sarebbe stata negativa la concorrenza fra reti nazionali, al
lievitamento di costi che avrebbe prodotto e il conseguente abbassamento del
livello culturale prodotto dall'inseguimento del massimo indice di ascolto.
Non
ci fu nulla da fare, i cittadini italiani non informati, ritennero che la
concorrenza alla Rai (che poteva essere assicurata dalle sole reti locali) fosse
un fattore benefico e di crescita e non di alienazione come i fatti hanno in
seguito dimostrato. Rubens Esposito pertanto merita un premio: la consegna della
sua liquidazione che assommerà a qualche miliardo, e un invito di restare a
casa in pensione, a riposarsi, dalle fatiche di non aver mai fatto nulla.
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