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LA RICUSAZIONE

 

Le prime pagine del documento di 6 pagine consegnato al presidente generale del Tar del Lazio Corrado Calabrò raccontano come è nata e si è affermata l'emittenza locale e come si è inteso progressivamente distruggerla.

Notizie che tutti conosciamo, ma era doveroso far comprendere le ingiustizie subite da una intera categoria dando luogo ad una narrativa completa a partire dalla approvazione nel 1990 della Mammì per giungere alla congerie di leggi sempre peggiori, ideate per far prevalere le grandi imprese radiotelevisive.

Non mancava l'elenco dei servizi di pubblica utilità che le "locali" sono in grado di svolgere e l'insostituibile presenza per i cittadini di un mezzo di informazione nei "pressi di casa" cui nessuna rete multiregionale, nazionale o satellitare potrà mai prenderne il posto.

Il racconto, prima di entrare nel merito della questione, non mancava di enunciare i trucchi, i tranelli escogitati da politici, associazioni collaborazioniste, ministri e sottosegretari al servizio dei potentati dell'etere con la complicità di certi giudici più sensibili alla voce della politica che di quella della giustizia.

Protestata l'esistenza di sospensive mai entrate nel merito dopo ben otto anni e dei palliativi adottati dal Tar del Lazio, il documento entrava nel vivo della richiesta illegittima dei cànone da parte del Ministero nominato come:

 

PRIMO CASO

 

"E' così che nell'anno 2000 arrivarono numerosi avvisi di pagamento di canoni a nostri associati al punto che la nostra associazione stimò opportuno rivolgersi all'avvocato professore Carlo Lombardi che presentò a nome di 12 radio ricorso (allegato) al Tar del Lazio chiedendo di sospendere le intimazioni di pagamento.

Il collegio giudicante della 2a sezione presieduto dal dottor Domenico Landi, evidentemente influenzato da una avvocatura dello Stato spocchiosa che neppure si presenta alle udienze, rigettò la sospensiva così motivando: "Atteso che a seguito di una prima delibazione il ricorso non appare assistito dal "fumus bonis iuris" essendo richiesto l'adempimento di obblighi contributivi quali puntualmente individuati dagli atti di concessione di radiodiffusione non oggetto di tempestiva impugnazione da parte "de quo" in base alla specifica disciplina dettata dalla legge 223/90". Pronunciamento che non teneva conto del punto centrale del ricorso, ovvero la inesigibilità di canoni per "concessioni" mai rilasciate.

 

SECONDO CASO

 

Lo scorso anno veniva approvata una legge destinata a costituire cartaccia insieme a tante altre contenenti norme ingiuste e contraddittorie che non sono state in grado in dodici anni né di rispettare la Costituzione, né di portare ordine nel settore radiofonico e televisivo: la n.66 del 20 marzo 2001.

Essa, rincarando la dose anche rispetto alle condizioni di ottenimento delle precedenti concessioni-burla, imponeva alle emittenti locali condizioni di quanto meno sospetta costituzionalità, ovvero la trasformazione obbligatoria delle ditte individuali radiofoniche in società di capitali o in cooperative con la contemporanea assunzione di due dipendenti.

Per meglio rilevare l'enormità del provvedimento è bene ricordare che le emittenti locali, avendo compiti limitati, ossia di far conoscere ai cittadini ciò che avviene nel raggio di 20/30 chilometri dal luogo in cui abitano, sono spesso a gestione familiare o condotte addirittura da una sola persona stante l'esistenza di apparecchi per la messa in onda automatici; assai diverse poi per organizzazione e territorio servito dalle grosse imprese radiofoniche nazionali che hanno alle spalle autentici imperi editoriali e finanziari (Sole 24 ore, l'Espresso ecc..).

Le imposizioni quindi apparivano studiate appositamente per eliminare definitivamente l'emittenza locale, la sola che venne legittimata dalla famosa sentenza n.202 del 1976 dalla Corte costituzionale.

Il ricorso della nostra associazione Conna in favore dei suoi associati quindi fu immediato, affidato all'avvocato Alfredo Besi che in una sua breve esposizione (il cui testo è riprodotto in parte fianco sotto il titolo "LEGGE 66/2001"), chiedeva semplicemente di decidere circa il rinvio alla Consulta della legge n.66 del 2001 e del relativo regolamento in quella parte che impone alle ditte individuali la trasformazione obbligatoria in società di capitali o in cooperative con la contemporanea assunzione forzata di due dipendenti.

Per giustificare tanto livore nei confronti delle "locali", non mancavamo di far presente a voce e per iscritto che sia pure con motivazioni diverse, praticamente tutte le forze politiche avevano mostrato di avversare le radio locali perché non sono controllabili politicamente e perché le grandi imprese nazionali ne avevano chiesto da tempo la chiusura perché esse turberebbero il mercato pubblicitario (e quindi i loro affari): concetti questi palesemente in contrasto con la libertà di impresa e di espressione.

Dopo una lunga trafila durata mesi, (con relative ingenti spese a carico della nostra associazione "Non profit"), prima è stata rigettata la sospensiva alla applicazione di tale mostruosità giuridica e in seguito, ottenuto il pronunciamento definitivo nel merito, il presidente Marzano ha sentenziato che: (in libera sintesi) "L'obbligo di trasformazione delle ditte individuali in società non sottrae la possibilità di effettuare lavoro autonomo: basterà che il titolare della ditta...faccia parte della società; e quanto all'obbligo di assumere due dipendenti, ciò non è che una conseguenza della creazione ...della società".

Abbiamo già considerato la insopportabile pressione che l'avvocatura dello Stato esercita sui magistrati amministrativi al punto da non lasciare loro scampo e "costringerli" ad emettere sentente politiche e non giuridiche, ne abbiamo scritto più volte su questo giornale distribuito all'intero mondo politico e a tutte le entità culturali di rilievo; tuttavia, esistendo un largo margine di dubbio per ricorsi dove la materia appare controversa e di difficile interpretazione in genere è difficile stabilire confini e entità dei condizionamenti subiti dai collegi giudicanti; nel caso segnalato invece, così emblematico per i contorni netti del problema, il giudizio lo lasciamo a chi legge queste note.

Basta pensare, per rilevare la gravità della decisone del presidente Marzano, che se gli obblighi che si vogliono imporre alle emittenti locali si estendessero a tutte le imprese individuali - dai negozi di alimentari ai laboratori artigiani - si determinerebbero a dir poco le condizioni di una rivolta popolare per le centinaia di migliaia di imprese che ne verrebbero coinvolte e colpite.

 

Conclusioni

 

Per questo caso ci siamo rivolti con una denuncia al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa riservandoci di rivolgerci alla Corte di giustizia delle Comunità europee non appena fossero esauriti (malauguratamente)senza esito positivo tutti i ricorsi alla magistratura nazionale. Il rinvio al merito del primo ricorso promosso dall'avvocato Lombardi invece - nel frattempo il Ministero delle comunicazioni ha minacciato di iscrivere a ruolo somme ingentissime di decine di migliaia di Euro per presunti canoni arretrati a carico di piccole imprese il cui fatturato annuale di pubblicità raramente supera i 10/15 mila Euro - chiediamo venga assegnato ad altra sezione del Tar del Lazio augurandoci nel contempo che le amicizie interpersonali fra magistrati che operano nello stesso palazzo non influenzino l'obiettività del giudizio.

Ciò si rende necessario perché a parte innocue sospensive, tutta una serie di sentenze di sostanza, dove il Tar era chiamato a bloccare determinate leggi palesemente incostituzionali mostrano invariabilmente presso i giudici della seconda sezione il prevalere delle tesi dell'avvocatura dello Stato e di conseguenza una costante animosità nei confronti della emittenza locale.

Inoltre, la denuncia al Consiglio di presidenza della magistratura amministrativa, non pone certo il dottor Filippo Marzano e i suoi collaboratori o eventuali altri giudici della 2a sezione suoi sottoposti, nelle condizioni migliori per emettere giudizi con tutta serenità.

 

Firmato il presidente del Conna, Coordinamento nazionale Nuove Antenne

 

Roma, 2 aprile 2002

 


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