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Tutte le strade conducono a Roma

Difficilmente una frase fatta-luogo comune come quella del titolo si è mai rivelata tanto significativa.
Il motivo è sempre il medesimo: nel 1994 furono rilasciate concessioni prive totalmente di valore e il Tar del Lazio, investito da una serie impressionante di cause, non trovò il coraggio di mettersi contro il Ministero delle Poste e telecomunicazioni e l'intero mondo politico che gli stava dietro.
Invece di pronunciarsi seguendo una strada rigorosamente giuridica che rivelasse gli abusi e l'alto tasso di violenza incostituzionale che impregnava le leggi che avrebbero dovuto governare il settore radiofonico e televisivo, principalmente la 223/90, legge Mammì e la 422/93, scelse il quieto vivere, concedendo sospensive tutt'ora valide, sperando che il tempo e la stanchezza che sarebbe subentrata in tanti malcapitati che avevano creduto nella libera emittenza finissero per risolvere la situazione. 
Soren Kirchengaard, il letterato danese, avrebbe laconicamente concluso affermando che la seconda sezione del Tar del Lazio si era pronunciata esteticamente e non eticamente.
Il groviglio di interessi delle grandi finanziarie che hanno finito per fagocitare quasi totalmente l'emittenza locale merita oggi una risposta definitiva e un diverso atteggiamento del consigliere-relatore della seconda sezione del Tar del Lazio Roberto Politi che ha reso quasi sempre vincitore il Ministero delle comunicazioni e di conseguenza le forze politiche.
Tutto conduce a Roma dicevamo all'inizio e ad un pronunciamento che esca da ogni ambiguità di comodo. 
A questo proposito abbiamo scelto, neppure tanto accuratamente, anzi quasi casualmente, tre ricorsi fra i tanti ancora pendenti al Tar da sette anni, mai rinviati a ruolo; in comune hanno la considerazione centrale espressa dagli avvocati che le "concessioni" nel 1993/94 non potevano essere rilasciate per la mancanza dei Piani di assegnazione perché l'articolo 34, comma 5 della 223/90 non lascia dubbi: "Le concessioni previste nella presente legge possono essere rilasciate solo dopo l'approvazione del piano di assegnazione".
Il primo che avevamo a portata di mano, conosciuto già dai nostri iscritti, è il ricorso del professore avvocato Carlo Lombardi del Foro di Roma che si è rivolto lo scorso anno al Tar per inibire la percezione dei canoni arretrati chiesti perentoriamente dal Ministero delle comunicazioni;
il secondo, è il recente ricorso presentato dall'avvocato Fabio Messi del Foro di Macerata in difesa di una televisione di cui non facciamo il nome per ragioni di riservatezza, cui non è stato riconosciuto il diritto di proseguire l'attività per non essersi trasformata per tempo da società di persone in società di capitali;
il terzo ricorso è del professore avvocato Mauro Rosati di Monteprandone del Foro di Perugia e dell'avvocato Nicola Marcone di Roma che il 20 marzo del 1995 si sono rivolti al Tar del Lazio per ottenere una giustizia che a tutt'oggi non è ancora stata fatta. 
Dei tre ricorsi, riportiamo la parte più significativa che a nostro giudizio costituisce la base seria (e vincente) di tutti gli altri, mai entrati nel merito e tenuti in sospensiva presso il Tar del Lazio. 

(Parte del ricorso del professor Lombardi)

Violazione di legge - mancata applicazione della legge nonché falsa applicazione di legge. 

Il Ministero delle Comunicazioni con il provvedimento impugnato ha richiesto alle emittenti locali ricorrenti il pagamento dei canoni che si assumono dovuti nel periodo dal 1994 al 1999 per somme rilevanti assolutamente sproporzionate ed ingiuste in ordine alla consistenza ed al bacino di utenza delle emittenti stesse pur in mancanza dei presupposti di legge.
Infatti la legge 422/93, all'art.1, ha previsto un regime transitorio per i soggetti già autorizzati a proseguire nell'esercizio degli impianti di radio diffusione in ambito locale, con una concessione della durata di tre anni, fino all'entrata in vigore della nuova disciplina del sistema radiotelevisivo ed editoriale.
L'art.3, comma 3°, della legge n.422/93 prevede espressamente "la applicazione delle disposizioni di cui all'art.4 della Legge 6 agosto 1990 n.223 è sospesa nel periodo di vigenza delle concessioni di cui all'art.1 del presente decreto".
L'art.4 della legge 223/90, così come richiamato sopra, deve essere posto in correlazione all'art.34 della legge citata allorché al comma 5° prescrive espressamente che "le concessioni previste nella presente legge possono essere rilasciate solo dopo l'approvazione del piano di assegnazione".
A tale proposito ricordiamo che i piani di assegnazione (uno per le televisioni e l'altro per le radio) dovevano consentire l'assegnazione della frequenza a "ciascun impianto" per una "ricezione senza disturbi" (art.3, comma 7, della L.223/90).
In effetti però l'allora Ministero delle Poste (oggi Ministero delle Comunicazioni) ha rilasciato "Concessioni" totalmente prive di valore mancando la determinazione e l'individuazione dei piani di assegnazione, quindi non ha assegnato le frequenze mentre, con il provvedimento impugnato si chiede il pagamento di canoni di concessione senza che questa sia avvenuta per una frequenza specifica e delimitata (e quindi senza disturbi) e quindi senza la esistenza di una valida e legittima concessione.
Il territorio, inoltre, doveva essere diviso in bacini di utenza in coincidenza, di regola, con il territorio delle singole Regioni italiane, (L.223/90, commi 8 e 9). Nulla di tutto ciò è avvenuto e si è creata in punto di fatto, una situazione caotica dando luogo a numerosi casi, in tutto il Paese, dove imprese radiofoniche (e televisive) non hanno potuto svilupparsi in senso programmatico e le più vulnerabili di queste, per i loro modesti mezzi e capacità economiche e soprattutto per la mancanza di certezza dell'ambito di utenza e di ricezione, (circa la metà dell'intero complesso), sono state costrette a cessare definitivamente l'attività risultando impossibile valersi di frequenze interferite e non garantite. 
Un esempio eclatante e clamoroso è avvenuto in Roma ove il canale televisivo 26 è stato contemporaneamente assegnato ad una emittente di Rocca Priora, ad una di Roma e ad una di Roviano senza che nessuno dei tre assegnatari lo abbia mai potuto usare. (omissis)
 

(Precedono e seguono altre 9 pagine di motivazioni) 

*    *    * 

(Parte del ricorso dell'avvocato Messi)

...che la medesima società con ingente sforzo economico in tutti  questi anni ha operato nella normativa continuamente sopravvenuta, trasformando la propria ditta individuale in società in nome collettivo a partire dal 5.10.1990 (documento 4) versando la cauzione di lire 300 milioni a mezzo di polizza assicurativa Maeci, Associazione e riassicurazione s.p.a. n.xxxx, polizza di cui non è mai stato autorizzato lo svincolo e la restituzione , malgrado le numerose richieste al riguardo fatte da Rete xxxx (documento n.5) avendo nel frattempo la ditta aumentato il proprio capitale sociale a lire 300.000.000 con atto del 18 novembre 1996 (documento n.6), ampliando infine la propria compagine sociale fino agli attuali 5 soci (documento n.7) oltre ad avvalersi di due ulteriori lavoratori (documento n.8), il tutto in assenza della frequenza originariamente posseduta (su Milano ndr) e reclamata negli anni con grave danno economico causato dalla impossibilità di programmare la propria attività;
che tutti i precedenti sforzi della ricorrente resterebbero vani se il provvedimento da ultimo impugnato non venisse annullato e nel frattempo sospeso, pregiudicando definitivamente l'attività per tanti anni coraggiosamente portata avanti da una televisione locale (documento n.9);
che comunque in questi anni tutte le emittenti locali hanno operato in assenza del piano di assegnazione delle frequenze per cui tutte le autorizzazioni e le concessioni assegnate sono illegittime perché assegnate senza la preventiva approvazione dello strumento programmatorio prescritto ex articolo 34 comma 5 della legge 1990 n.223.
Tutto ciò premesso, con il presente ricorso la ditta Rete xxxx, preliminarmente solleva, in via incidentale, la questione di legittimità costituzionale della normativa radiotelevisiva ed in particolare per i seguenti

MOTIVI
1) violazione degli articoli 1, 3, 4, 21, 18, 35, 41, 43 della Costituzione da parte dell'art. 3/2 legge 1997 n.249 e del successivo art. 6/3 Regolamento n.78/98, dell'art.1/1 terzo periodo, legge 20 marzo 2001 n.66 e del successivo art. 1 Decreto del Ministro delle Comunicazioni del 7 maggio 2001.
Per l'effetto si chiede che il Tribunale amministrativo, riconosciuta la fondatezza delle eccezioni, voglia, previa sospensiva della normativa impugnata, rimettere la questione alla Corte Costituzionale per la decisione.
(seguono altre 4 pagine di motivazioni)
 

(Precedono e seguono altre 11 pagine di motivazioni) 

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(Parte del ricorso del professor avvocato Rosati)

VIOLAZIONE DELLA LEGGE-ERRONEA APPLICAZIONE DELLA LEGGE 1993/422 ART.3 Co. 3° in relazione all'articolo 34 Co. 5° LEGGE 1990/223. 

La legge 1993/422 all'art.1 ha previsto un regime transitorio per i soggetti già autorizzati a proseguire nell'esercizio di impianti di radiodiffusione televisiva in ambito locale, con una concessione della durata di tre anni, fino all'entrata in vigore della nuova disciplina del sistema radiotelevisivo e della editoria.
L'art.3 co.3° prevede espressamente: "la applicazione delle disposizioni di cui all'art. 4 della legge 6 agosto 1990 n.223 è sospesa nel periodo di vigenza delle concessioni di cui all'art.1 del presente decreto.
L'art. 4 della legge 1990/223 (norme urbanistiche) così come richiamato sopra deve essere posto in correlazione all'art.34 cit. legge allorché al co.5° prescrive espressamente: "le concessioni previste nella presente legge possono essere rilasciate solo dopo l'approvazione del piano di assegnazione".
Tale premessa era d'obbligo in quanto se le emittenti televisive (e radiofoniche ndr) dovessero essere tenute a corrispondere un canone di concessione, significherebbe che le emittenti hanno acquisito lo status di "concessionarie" sin dal periodo ante 1994 contraddicendo in tal modo il sistema transitorio di "mera autorizzazione" di cui alla legge 223/1990 e vari decreti legge tutti decaduti per mancata conversione scadenza, dapprima alla data del 31.12.1994 e quindi, successivamente con il DL 728/1994 al 28.02.1995.
Il "piano di assegnazione" ancora non definito (cfr. art 1 co.7 bis legge 1993/422) rende pertanto inoperante qualsiasi richiesta di pagamento di "canone di concessione".
Il "canone di concessione" proprio in relazione al piano di assegnazione delle frequenze non dovrà comunque essere corrisposto dalle emittenti televisive (e radiofoniche ndr) locali proprio in quanto lo stesso art.3 della legge 1990/223 co.8° e segg. (ora disapplicato dall'art.1 co.7 legge 1993/422 prevedeva la suddivisione del territorio nazionale in "bacini di utenza" coincidenti, di regola, con il territorio delle singole regioni (art.3 co.9 cit. legge). (Del resto le emittenti non sarebbero tenute a versare un canone di riferimento al numero delle regioni ove sono ubicati gli impianti in quanto la concessione che viene rilasciata è unica e unico deve essere il canone).
 

(Precedono e seguono altre 13 pagine di motivazioni)


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