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LA QUERELA

Capita di rado che il direttore di una pubblicazione, sia pure spartana come la nostra, parli in prima persona per raccontare una vicenda apparentemente personale, ma in effetti conseguente alla linea assunta dalla nostra associazione in direzione della difesa della emittenza locale e del mezzo pubblico, due elementi complementari fra di loro che avrebbero da soli potuto assicurare ai cittadini il diritto di comunicare, tenendo ben alla larga le finanziarie private, attraversate principalmente da due interessi principali che con quelli del paese non hanno nulla da spartire: il drenaggio di ingenti somme di denaro e l'acquisizione di potere.
La Rai, mezzo di diffusione nazionale televisivo e radiofonico pubblico, in 25 anni non ha mai preso posizione per rivendicare il suo stato contribuendo a ridurre il livello di arroganza che determinati gruppi esercitavano nei confronti dell'Azienda stessa e delle emittenti locali, riconosciute dalla famosa sentenza della Corte Costituzionale n.202 del 1976 quale logico complemento informativo sul territorio.
Si è così determinata una situazione che ha visto vincitori quasi assoluti i gruppi finanziari più aggressivi che contando su fondamentali protezioni politiche, hanno potuto radicarsi, prima timidamente, poi sempre più prepotentemente al punto da scalzare quasi totalmente radio e televisioni locali e mettere in difficoltà il mezzo pubblico costretto ad inseguire l'emittenza nazionale privata sul terreno del degrado cuilturale e della lievitazione dei costi.
Misterioso ci è sempre apparso il comportamento della dirigenza Rai che a differenza della stampa privata, imbavagliata con la concessione di pagine e pagine di pubblicità, avrebbe potuto agire con tutta indipendenza - fatte salve le remore dovute alla pressione dei partiti - informando regolarmente gli ascoltatori su quanto stava succedendo. 
La dirigenza Rai. Si, ma quale? 
Direttori, presidenti, consigli di amministrazione, perfino i soggetti politici nel tempo si sono succeduti numerosi e non è pensabile essi, all'unisono, abbiano potuto decidere di non rendere partecipi gli ascoltatori sul disastro che si stava verificando nel mondo dell'informazione di massa.
Le responsabilità della mancata autodifesa Rai e delle "locali" quindi doveva essere ricercata in quei funzionari che di fatto rappresentavano la continuità dirigenziale. 
Che qualcosa non funzionasse apparve chiaro al nostro direttivo quando prendemmo contatto con Santoro, Costanzo e l'allora "giornalaio tuttofare" Funari (definiti in seguito "I tre cannibali" del numero di agosto del 1994 di Nuove Antenne), i quali, sollecitati ad occuparsi di emittenza locale e Rai, si erano come bloccati di fronte ad un argomento che evidentemente era meglio non toccare. 
Stupiva in particolare Michele Santoro - abituato ad affrontare contro corrente le questioni più scabrose - il quale, chiamato da una manifestazione che il Conna organizzò in via Teulada, scese in strada promettendoci (senza però mai farlo) che si sarebbe occupato del problema.
Personalmente, continuai ostinatamente ad incontrarmi più volte con funzionari Rai, ma fu durante uno di questi colloqui (riportato nella memoria allegata agli atti giudiziari pubblicata su questa stessa pagina) che mi accorsi delle responsabilità dell'Ufficio legale Rai cui spettava pronunciare l'ultima parola su interrogativi di indirizzo posti da funzionari, direttori, programmatori, e responsabili di rete.
Da qui, l'articolo pubblicato sul numero di dicembre dello scorso anno intitolato: "L'inamovibile Rubens", che ha determinato la querela per diffamazione a mezzo stampa da parte del capo dei servizi legali.
Perché tanto spazio su questo giornale a questa vicenda che portata in tribunale si è trasformata in un fatto personale di fronte al quale ho dovuto difendermi rivendicando il mio buon diritto di critica? Per tentare di chiedere alla Rai un sia pur tardivo interessamento a beneficio dei suoi interessi e di quelli delle poche emittenti locali sopravvissute.
All'avvocato Esposito, se non deciderà di ritirarsi a vita privata a far "compagnia ai propri nipoti" come polemicamente gli abbiamo chiesto, chiediamo di impegnarsi a "liberare" il filone di quelle che potremmo definire trasmissioni di servizio (tra l'altro di grande interesse per gli ascoltatori tenuti per due decenni e mezzo). Il Conna, senza rancore e animosità di sorta, è pronto a fare la sua parte di associazione "Non profit", cioè di organizzazione al servizio del Paese attraverso le sue espressioni informative pubbliche e private. Mario Albanesi


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