COMMENTO
AL DISCIPLINARE DEL NULLA
di
BRUNO DE VITA
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Il
disciplinare è un lavoro assai scadente nonostante i timidi tentativi fatti dal Ministero
per migliorarlo e renderlo più adeguato alla realtà delle aziende del settore; figlio
diretto di un pessimo regolamento, racchiude la erronea presunzione che l'emittenza
nazionale e locale siano sul piano aziendale la stessa cosa e quindi sottoponibili ai
medesimi criteri valutativi. Un regolamento che parte dal presupposto che le
emittenti locali sono troppe e che bisogna costringerne alla chiusura un buon numero,
costruito come applicazione di un piano delle frequenze particolarmente restrittivo ed al
tempo stesso di sperpero delle frequenze stesse, dove per poter giustificare che c'era
posto solo per pochissimi, si affermava la necessità tecnica di dover usare tre frequenze
per ben servire un'area, cosa affatto vera perché neppure la concessionaria Rai, se non
ben raramente, è ricorsa a queste esagerazioni. Un regolamento che non si è sentito
il bisogno di ridiscutere e modificare, neppure di fronte alla palese bocciatura del piano
delle frequenze e del conseguente intervento del parlamento in sede legislativa che ha
prodotto, oltre alla proroga dei termini, una ridefinizione del piano delle frequenze e
l'artifizio della realizzazione di un piano di secondo livello, in cui la sostanza è
stata la previsione in molte aree di servizio di più frequenze disponibili, quando in
precedenza si sosteneva che ciò fosse tecnicamente impossibile. Di conseguenza, un
disciplinare fatto di niente se non di imposizioni gratuite, senza neppure uno scatto di
orgoglio di chi, come il Ministero delle comunicazioni, meglio conosce la realtà del
settore, e che ha già sperimentato nel 1992 i guasti che producono logiche autoritarie e
dirigiste, fondate su studi cartacei di professori di università e non già su quella
realtà di lavoro e di tessuto informativo che costituiscono l'emittenza radiotelevisiva
locale. Pare che non sia servita a nulla l'esperienza negativa di questa logica, del
regolamento e del disciplinare per le concessioni, come i ricorsi fatti contro le
concessioni nazionali, ed il nuovo intervento della magistratura amministrativa volto ad
impedire la chiusura di emittenti televisive.
Nel
dettaglio:
DIRITTI
DELLE LOCALI STIPENDI D'ORO DUE
CATEGORIE PUNTEGGI PAZZI PATRIMONI
E FALLIMENTI INFORMAZIONE
E FATTURATO 50
PUNTI ALLA QUALITA' "CORRETTIVI"
SELETTIVI "INDISCIPLINA"
TOTALE
Quanto
occorrerà ancora per convincere i soloni dell'etere che in Italia ci sono emittenti
televisive che seppur piccole, hanno dei diritti che nessuno può calpestare impunemente,
né nel nome della grande economia, né in quello della grande tecnologia che alla fine
sono sempre di parte? Ma veniamo ai contenuti di questo documento. La prima parte
attiene alle modalità e condizioni di presentazione delle domande e alla loro
documentazione (art.1, 2, e 3), in cui vengono indicate con puntigliosità il numero delle
copie, l'elenco dei documenti che ignorando la riforma Bassanini si pretendono tutti in
bollo; la precisazione che occorre dimostrare l'avvenuto pagamento del contributo di
istruttoria di 10/1/0.5 milioni di lire secondo il tipo della domanda, il numero dei
dipendenti obbligatori, ecc.., insomma, un percorso ad ostacoli, in cui è doveroso
mettere in particolare evidenza alcune "perle" in quanto a vessazione e
illegittimità. In nessun concorso pubblico, se pur particolarmente oneroso per la
Pubblica Amministrazione, si era mai visto che i concorrenti dovessero pagare le
istruttorie delle domande.
Gli
emolumenti d'oro che si sono attribuiti commissari e funzionari evidentemente non sono
ancora ritenuti sufficienti, e nonostante le somme astronomiche provenienti dallo 0.35 per
mille di tutti i fatturati del settore televisivo, radiofonico, editoriale, telefonico e
di tutto il resto del comparto delle comunicazioni, l'avidità ha finito per far prevalere
la tentazione di spillare alti soldi. Anche nel concepire questo disciplinare ed il
regolamento da cui discende, l'Autorità e il Ministero delle comunicazioni si sono
dimenticati che la tassa sulla manodopera è incostituzionale anche rispetto ad una
specifica sentenza della Consulta. Infatti, per essere più bravi di altri ad
ostacolare le imprese televisive, hanno previsto che come requisito essenziale per poter
fare domanda ci sia anche quello di avere non già tre, ma quattro dipendenti. Si
noti che il numero di dipendenti è un requisito obbligatorio per poter che di fatto nega
all'editore il diritto di organizzare la propria attività come reputa più opportuno: se
servirsi di dipendenti o di cooperative e aziende di servizio.
Un'altra
clamorosa asserzione della prima parte è che le emittenti televisive locali si
distinguono rispettivamente in emittenti a) informative, commerciali, monotematiche locali
sociali, b) in emittenti comunitarie. Affermazione che varia l'ordine e la gerarchia di
quanto sancito dal già citato regolamento che indicava quattro categorie elencate in
ordine gerarchico di importanza da cui si sarebbe dovuto attendere che il disciplinare
prevedesse quattro distinte graduatorie. Il disciplinare, invece, in pieno contrasto
con il regolamento, indica due sole categorie di emittenti e due sole distinte
graduatorie. Ma ciò che desta stupore e sconcerto è il fatto che a queste distinzioni
di tipologie di emittenti non corrisponde alcuna valutazione distinta nei criteri e
parametri voluti. Quindi, nella prima parte del disciplinare e del regolamento,
le emittenti informative-commerciali e monotematiche sono diverse, mentre nella seconda
parte sono uguali e valutate con gli stessi criteri in un'unica graduatoria, come se la
spesa da parte dell'impresa per fare informazione e vendere biancheria fosse la stessa e
si incassassero le medesime somme. Nella seconda parte (art 4, 5 e 6) dove tutto è
generico, sono indicati solo i titoli dei criteri ed i punteggi massimi, senza alcun reale
aggancio dettagliato di valutazione, lasciando cioè alla commissione la totale
discrezionalità, senza alcuna possibilità di verifica del suo operato.
Vediamoli
uno per uno questi criteri di attribuzione dei punteggi che dovrebbero decidere i destini
delle emittenti e dei lavoratori che in esse operano. I gruppi di valutazione sono
quattro. Il primo è il "piano di impresa, investimenti e sviluppo", a cui
vengono assegnati un massimo di 300 punti, diviso a sua volta in quattro rami valutativi
che dovrebbero indicare la capacità futura dell'azienda. Tre di essi, ritenuti dalla
divisione stessa di punti (20 ciascuno) abbastanza irrilevanti, sono quanto mai aleatori e
poco significanti: si potrebbero definire il libro delle promesse vaghe. Sono infatti
la previsione, non meglio definita, degli investimenti: il primo per l'adeguamento degli
impianti, il secondo per l'evoluzione tecnologica, il terzo per gli impianti di
collegamento.
Il
quarto ramo, quello vero, di questo primo gruppo è il patrimonio netto dell'azienda, a
cui vengono attribuiti 240 dei 300 punti. Anche qui, solo chi non conosce un bilancio
aziendale può sostenere che il capitale sociale o il patrimonio netto siano il
riferimento reale della solidità dell'impresa, infatti, possono esistere aziende con
grandi patrimoni netti in bilancio ed essere nel contempo sull'orlo del fallimento. il
secondo gruppo è rappresentato dalle "esperienze maturate nel settore" a cui
vengono assegnati un massimo di 350 punti, diviso in due sottogruppi di criterio, a) di
esperienza nel settore radiotelevisivo fino a 300 punti, cioè la quasi totalità dei
punteggi, b) l'esperienza in settori prossimi a quello televisivo quali editoria,
spettacolo e telecomunicazioni, a cui si danno 50 punti. Il secondo sottogruppo è
quanto mai emblematico di come il regolamento per le nazionali abbia fatto precipitare nel
ridicolo il disciplinare per le locali. A noi, francamente, non sembra che nell'emittenza
locale possa costituire criterio valutativo una molteplicità di attività tipiche dei
grandi gruppi aziendali.
I
300 punti delle "esperienze maturate nel settore" dipendono poi da quattro
criteri specifici di valutazione, che vanno dalla media dei fatturati, alla media degli
investimenti, alla percentuale dei programmi di informazione sino alla percentuale dei
programmi informativi autoprodotti. Come si vede, quattro criteri rappresentativi delle
diverse specificità che caratterizzano le emittenti locali. Due attengono al loro aspetto
economico e commerciale e due attengono all'essere strutture editoriali e di informazione. Ma
qui, strano a vedersi, non compare neppur una pur minima articolazione dei punteggi nelle
diverse valutazioni: contrariamente a quanto indicato nella prima parte si demanda così
alla commissione giudicatrice la facoltà di favorire le emittenti commerciali o quelle
informative. Il terzo gruppo è "l'occupazione" a cui vengono assegnati un
massimo di 300 punti suddiviso in tre sottogruppi, uno, il principale, con 200 punti
concernente gli occupati al 15 gennaio 2000 ove, oltre ai dipendenti, vediamo comparire
gli addetti all'informazione iscritti all'Albo dei giornalisti. Il secondo sottogruppo
riguarda le pari opportunità con 75 punti, ed il terzo, il piano occupazionale futuro con
25 punti, anch'essi senza nessuna specificazione dei criteri di attribuzione.
Il
quarto ed ultimo gruppo è la qualità dei programmi, a cui si destinano 50 punti massimo,
il che indica chiaramente quanto poca importanza si riconosca a questa voce rispetto ad un
etere concepito esclusivamente in funzione commerciale. Per altro, i criteri di questo
gruppo appaiono quanto mai indistinguibili nelle differenze fra i piani editoriali annuali
e quelli basati sulle eccedenze rispetto agli obblighi di programmazione. Si sarebbe
potuto pensare ad un trattamento diverso per le emittenti comunitarie, ma così non è
stato: al primo gruppo, invece di 300 punti se ne dànno 250, al secondo invece di 350,
300, al terzo, quello dell'occupazione, invece di 300, 350 ed infine, al quarto, al posto
di 50 c'è un 100. Per il resto tutto uguale, Stessi criteri, stessa genericità.
"CORRETTIVI"
SELETTIVI
C'è
infine, un apposito articolo dedicato alle casistiche correttive di punteggio, ma esse
sono tutte tese a provocare una ulteriore diminuzione nel numero delle emittenti. Il 5
per cento per chi si fonde o si incorpora. il 5 per cento per chi si costituisce in
consorzio per realizzare i nuovi siti. ed il 10 per cento per chi si impegna a liberare
canali destinati al digitale. Tuttavia una norma positiva c'è; ed è quella che
impedisce alle grandi aziende paranazionali di fare l'asso piglia tutto nel non far valere
su 5 regioni i punteggi acquisibili in forza dei loro fatturati. La norma impedisce la
trasmigrazione dei punteggi da una regione all'altra, o meglio la loro trasmigrazione per
intero, ma la consente solo parzialmente. L'inserimento di questa nuova norma, oltre
alla sua ragionevolezza, dimostra però che anche in presenza di un pessimo regolamento
poteva essere evitata la sciagura che rappresenta questo disciplinare.
Un
disciplinare che non disciplina nulla in modo democratico doveva essere evitato, ma ora,
nonostante la sua pubblicazione, deve essere rivisto a furor di emittenti televisive e
anche radiofoniche considerato che uno analogo attende anche queste ultime. Il
parlamento, magari cogliendo l'occasione dell'approvazione anche a stralcio del ddl 1138
ancora giacente in Senato, secondo noi, deve ristabilire per legge quei corretti
presupposti per la regolazione del settore dell'emittenza televisiva locale che non si
riescono ad ottenere in via amministrativa. Per parte nostra non lasceremo nulla di
intentato per fermare tutte quelle iniziative, come quest'ultima, tese alla trasformazione
della settore dell'emittenza locale da strutture editoriali necessarie alla democrazia in
aziende commerciali venditrici di tutto e forse anche di notizie.
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